L’ho detto e lo ripeto. La televisione è e rimane il principale trend setter della rete.
Il dibattito politico intorno alla nuova tangentopoli del #Mose ne è l’esempio più lampante.
Fatta salva la prima ondata di indignazione, in cui i commenti forcaioli si diramano per legittimo dissenso verso i partiti coinvolti nello scandalo, il baricentro del dibattito si sposta dal fatto sull’opinione degli influencer.
A generare buzz, ad esempio, sono spesso i commenti di Marco Travaglio, nel bene e nel male catalizzatore di interventi social. E non parlo dei retweet, ma dei commenti che hanno come oggetto di analisi non più la notizia, ma la sua opinione circa la notizia.
In rete si commentano i fatti di attualità, si interviene in modo più diretto e si contribuisce alla diffusione delle notizie, è vero.
Ma lo si fa tendendo ad aggregarsi intorno a un portavoce, comunque proveniente dai mass media.
A tal punto che il portavoce diventa la notizia stessa.
Possiamo quindi davvero parlare di una modalità di informazione più libera e plurale, o siamo semplicemente davanti a una maggiore capacità di riverbero dei contenuti di un oligopolio editoriale?