L’effetto Masini

Rilassatevi, digital strategist.
Ci sarà sempre qualcosa che sfuggirà al vostro controllo.

La rimpianta Mia Martini, nonostante fosse una delle più belle voci della musica leggera italiana, fu vessata dal cliché idiota della sfortuna. Stessa sorte è toccata a Marco Masini, di fatto non più crepuscolare di altri suoi colleghi meno bersagliati dal pubblico.

Non è colpa dello stratega se il mito della sfiga da un giorno all’altro ti veste di ignominia.

È successo anche alla povera Simmenthal, che ha ritratto lo sventurato Riccardo Montolivo “rimasto negli spogliatoi”.
Un’immagine tristemente profetica del destino del centrocampista in Brasile.

La crisi scatta anche a prescindere dalle intenzioni e la crisi degli innocenti è la più difficile da gestire, perché non ha un responsabile.

Come si muoverà il brand per assorbire l’impatto reputazionale del “fattore Masini”?
Sarà uno dei soggetti di osservazione più interessanti dei prossimi giorni.

 

Il digitale ideale

Diciamolo con franchezza, a volte il nostro lavoro (quello di digital strategist) è stucchevole.
Ce la meniamo ore e ore in brainstorming che portano a soluzioni spesso opinabili.

E comunque, resta l’obiezione più cruenta: se non facessimo quello che facciamo, il mondo cambierebbe di molto?
Sono in tanti gli opinion leader che cercano di convircerci che sì, non siamo cardiochirurghi, ma il nostro mestiere può davvero cambiare il mondo, e che le nostre aziende sono guidate da un big ideal.

Nonostante le loro adorabili rassicurazioni, sono i fatti a smuovermi dal mio digital blues.
E i fatti, quando arrivano, mi illuminano di immenso.

CNA Language School, una scuola di inglese, mette in contatto i suoi giovani allievi con anziani statunitensi, coniugando gli obiettivi di entrambi: la necessità dei primi di parlare con persone madrelingua e il bisogno dei secondi di avere una compagnia giovane, a cui poter insegnare qualcosa di concreto.

Il video si commenta da sé: CNA language school trasforma i suoi clienti in mezzi di comunicazione, punto uno, e, punto due, realizza una campagna con un enorme ritorno di reputazione.

Più di tutto, però, la campagna di comunicazione è il prodotto stesso, non una sovrastruttura narrativa.
Questo è il grande goal dell’era digitale: trasformare la comunicazione da postumo della produzione a parte del prodotto stesso, autocomunicante il proprio patrimonio valoriale.

Anche questo video, che altro non è se non una showreel di casi reali, risponde ai requisiti della viralità: realismo, coinvolgimento ed emozione.

Non è il digitale a rendere il mondo migliore, sono i mondi migliori a dare un senso al digitale.