The voice of television

The voice of Italy

Quando ho iniziato a fare questo lavoro, immaginavo di scrivere per la tv.
I parenti più anziani mi chiedevano, all’inizio della mia carriera, quali pubblicità avessi scritto io e io, per non deluderli, dicevo che conoscevo tutti gli autori, ma che io mi occupavo di web.

Ora, al giorno d’oggi dovrei essere fiero di occuparmi di web e non di televisione, nell’epoca in cui gli USA portano gli investimenti in web advertising sulla vetta del mercato pubblicitario.

Invece mi occupo di web nel paese in cui la televisione, seppure si indebolisca come mezzo pubblicitario, rimane ancora trend-setter dei contenuti. La rete è il nuovo mezzo in cui si parla, la televisione è ancora il contenuto di cui si parla.


The voice of Italy
è uno dei temi prevaricanti, nel bene e nel male. È vero, come molti altri format alla stregua di Sanremo e il Grande Fratello, viene bersagliato on line da motitudini di delatori, ma rimane argomento di punta nei trend consigliati su web e social media.

The voice diventa acronimo, #TVOI, il che denota la sua forza di brand, come lo swoosh della Nike: non passa più per una menzione razionale, ma possiede a priori social awareness.

La rete ha bisogno di insultarlo, perché ne riconosce la forza. Riconosce, cioè, che il vecchio medium per eccellenza è il totem concettuale che guida le nostre riflessioni.
Il contenuto che non possiamo permetterci di ignorare.

On line proliferano discussioni sui format, ed è per questo che gli inserzionisti puntano sulla rete come mezzo pubblicitario, ma non nascono format.

Siamo alla scissione epocale fra mezzo e contenuto?
Oppure la rete non è ancora un mezzo a sé?

Entrambe ipotesi inquietanti, soprattutto per chi fa il mio mestiere, invece di scrivere per la televisione.