Il culo di Renzi

Inizio scusandomi. Questo post conterrà reiteratamente la parola “culo”.

Questo infatti è il protagonista della recente diatriba che ha riguardato il discusso post di Paola Bacchiddu, nella campagna elettorale per L’altra Europa con Tsipras. Dibattito che ha messo a nudo (scusate il gioco di parole) lo storico rapporto conflittuale tra la sinistra e la comunicazione “frivola”.

renzi_bacchiddu

Tempo fa, ad esempio, Matteo Renzi indossò una giovanilista giacca di pelle per reclutare  consensi presso Amici di Maria de Filippi, contenitore di un target fluttuante, tendenzialmente disimpegnato, propenso a votare più per empatia col leader che per affinità con i contenuti politici.

In quel caso gli intellettuali di sinistra gli fecero letteralmente il culo (e uno).
L’atteggiamento svelato è quello di una classe culturale attenta alla qualità dei voti più che alla quantità.

Oggi è di un altro culo (e due) che si parla, ma con obiettivi analoghi: la responsabile della comunicazione di una lista che, frustrata dalla poca evidenza riservata dai media, compie un gesto di rottura per incrementare visibilità.

Qual è la differenza? Che Renzi, attention getter del momento “pop” della campagna, era il leader. Era, cioè, nel contempo il soggetto e l’oggetto della comunicazione e catalizzava su di sé il gradimento dei “prospect” in studio.

L’ottima Bacchiddu, invece, è solo la responsabile della comunicazione. Il soggetto, cioè, che dovrebbe restare dietro le quinte per studiare le strategie di comunicazione e non esporsi in prima persona, tanto più in modo così appariscente e dal proprio profilo personale, slegato dal piano editoriale della lista.

Questo l’unico errore, a mio avviso, della sua campagna.
Nessun giudizio perbenista: a un bel culo non si comanda (e tre). Ma è stato un eccesso di zelo narcisista, che ha sotterrato nel percepito del pubblico l’identità di tutti i candidati di cui lei, per mandato, avrebbe dovuto enfatizzare la visibilità.

Un po’ come fa Oliviero Toscani, le cui pubblicità parlano di sé e mai dei suoi clienti, per quanto ben paganti.

Insomma, ancora una volta la politica e la comunicazione si dimostrano simili al poker: ci vuole strategia.
Non basta il culo (e stop).

Socialpolitik

C’è un brand che sembra contraddire ogni regola social.
In un mondo, quello digitale, in cui vince la verticalizzazione e la segmentazione del pubblico, c’è una marca che sembra vincere per l’attitudine opposta. Quella di essere generalista.
Quella marca si chiama Matteo Renzi.

Me lo rivela ingenuamente Facebook. Dopo aver messo un like a un post del premier, relativo alla sua autoesclusione dalla partita del cuore, il social network mi propone una finestra con 4 pagine simili a quella del Presidente del Consiglio, lasciandomi solo a riflettere sul possibile trait d’union.

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Simili a Matteo Renzi: Crozza, Berlinguer, Gino Strada e Fiorello

4 icone per 4 differenti categorie: satira politica, politica di partito, politica di società civile e cultura popolare.

Nel bene e nel male Renzi è presente in tutte queste categorie come protagonista. Allora mi chiedo, che cosa c’è di digital nella sua attitudine comunicativa, se la forbice del suo target è così ampia?

Mi rispondo: sa differenziare il linguaggio in ogni contesto. Dal giubbotto di pelle di Amici al faccia a faccia via Twitter con Beppe Grillo, sa giocare ad armi pari su media diversi e con i rispettivi linguaggi, dote che è sempre mancata a suoi “monomediatici” predecessori come Veltroni o Bersani.

Il social network è coestensivo al mondo reale e lo spunto di Facebook è sibillino.
Renzi è un contenitore variegato, ma non ha un solo target generalista. Presidia contemporaneamente sottoinsiemi di pubblico differenziati e, nella sintesi di questi segmenti, sta portando a casa risultati numerici importanti (si vedano le ultime statistiche, con un Pd ai massimi storici).

Finisco la mia elucubrazione con un sospiro di sollievo. Renzi non sovverte le regole della segmentazione.
Semplicemente si sbatte per presidiare un maggior numero di segmenti.